San Marco, parlando della scelta dei Dodici, dice che Gesù li chiamò per "farli stare con lui" e per "mandarli". Sono espressioni contraddittorie e complementari: stare nella sua intimità e propagare il suo messaggio.
La prima lettura insiste sul privilegio di essere entrati nell'intimità divina: "Vi siete accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa... agli spiriti dei giusti portati alla perfezione", e soprattutto "al Mediatore della nuova alleanza", a Gesù. E questo suscita gioia, perché siamo fatti per questa comunione, per questa pace, per questo amore luminoso.
Soprattutto nella celebrazione dell'Eucaristia dobbiamo vivere questo mistero, approfittare della presenza del Mediatore della nuova alleanza per entrare in essa sempre più profondamente, per goderne i frutti.
Ma da questa intimità Dio ci manda agli altri: "Incominciò a mandarli a due a due...". Se vogliamo un rapporto con gli altri senza contatto con il Signore,
la nostra vita non è autentica, il nostro darci da fare è vuoto; se pensiamo di poter vivere nell'intimità con lui senza preoccuparci degli altri, viviamo nell'egoismo e non nell'adesione al Signore.
Per essere vita d'amore, la vita di un cristiano deve avere lo stesso dinamismo di quella di Cristo, essere cioè un movimento d'amore verso Dio e verso i fratelli.
“ L’uomo dell’era tecnologica rischia di essere vittima degli stessi successi della sua intelligenza e dei risultati delle sue capacità operative, se va incontro a un atrofia spirituale, a un vuoto del cuore”.(Benedetto XVI)
Dalla lettera agli Ebrei 12,18-19.21-24
Fratelli, voi non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: «Ho paura e tremo».
Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell'alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele.
Dal Vangelo secondo Marco 6,7-13
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi (cfr Mc 6,7-13) narra il momento in cui Gesù invia i Dodici in missione. Dopo averli chiamati per nome ad uno ad uno, «perché stessero con lui» (Mc 3,14) ascoltando le sue parole e osservando i suoi gesti di guarigione, ora li convoca di nuovo per «mandarli a due a due» (6,7) nei villaggi dove Lui stava per recarsi. E’ una sorta di “tirocinio” di quello che saranno chiamati a fare dopo la Risurrezione del Signore con la potenza dello Spirito Santo.
Il brano evangelico si sofferma sullo stile del missionario, che possiamo riassumere in due punti: la missione ha un centro; la missione ha un volto.
Il discepolo missionario ha prima di tutto un suo centro di riferimento, che è la persona di Gesù. Il racconto lo indica usando una serie di verbi che hanno Lui per soggetto – «chiamò a sé», «prese a mandarli», «dava loro potere», «ordinò», «diceva loro» (vv. 7.8.10) –, cosicché l’andare e l’operare dei Dodici appare come l’irradiarsi da un centro, il riproporsi della presenza e dell’opera di Gesù nella loro azione missionaria. Questo manifesta come gli Apostoli non abbiano niente di proprio da annunciare, né proprie capacità da dimostrare, ma parlano e agiscono in quanto “inviati”, in quanto messaggeri di Gesù.
Questo episodio evangelico riguarda anche noi, e non solo i sacerdoti, ma tutti i battezzati, chiamati a testimoniare, nei vari ambienti di vita, il Vangelo di Cristo. E anche per noi questa missione è autentica solo a partire dal suo centro immutabile che è Gesù. Non è un’iniziativa dei singoli fedeli né dei gruppi e nemmeno delle grandi aggregazioni, ma è la missione della Chiesa inseparabilmente unita al suo Signore. Nessun cristiano annuncia il Vangelo “in proprio”, ma solo inviato dalla Chiesa che ha ricevuto il mandato da Cristo stesso. È proprio il Battesimo che ci rende missionari. Un battezzato che non sente il bisogno di annunciare il Vangelo, di annunciare Gesù, non è un buon cristiano.
La seconda caratteristica dello stile del missionario è, per così dire, un volto, che consiste nella povertà dei mezzi. Il suo equipaggiamento risponde a un criterio di sobrietà. I Dodici, infatti, hanno l’ordine di «non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura» (v. 8). Il Maestro li vuole liberi e leggeri, senza appoggi e senza favori, sicuri solo dell’amore di Lui che li invia, forti solo della sua parola che vanno ad annunciare. Il bastone e i sandali sono la dotazione dei pellegrini, perché tali sono i messaggeri del regno di Dio, non manager onnipotenti, non funzionari inamovibili, non divi in tournée. Pensiamo, ad esempio, a questa Diocesi della quale io sono il Vescovo. Pensiamo ad alcuni santi di questa Diocesi di Roma: San Filippo Neri, San Benedetto Giuseppe Labre, Sant’Alessio, Santa Ludovica Albertini, Santa Francesca Romana, San Gaspare Del Bufalo e tanti altri. Non erano funzionari o imprenditori, ma umili lavoratori del Regno. Avevano questo volto. E a questo “volto” appartiene anche il modo in cui viene accolto il messaggio: può infatti accadere di non essere accolti o ascoltati (cfr v. 11). Anche questo è povertà: l’esperienza del fallimento. La vicenda di Gesù, che fu rifiutato e crocifisso, prefigura il destino del suo messaggero. E solo se siamo uniti a Lui, morto e risorto, riusciamo a trovare il coraggio dell’evangelizzazione.
La Vergine Maria, prima discepola e missionaria della Parola di Dio, ci aiuti a portare nel mondo il messaggio del Vangelo in una esultanza umile e radiosa, oltre ogni rifiuto, incomprensione o tribolazione. (Papa Francesco, Angelus del 15 luglio 2018)
Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Catech. 13, 1. 3. 6. 23; PG 33, 771-774. 779. 799. 802)
La croce sia la tua gioia
anche in tempo di persecuzione
Senza dubbio ogni azione di Cristo è fonte di gloria per la Chiesa cattolica; ma la croce è la gloria delle glorie. È proprio questo che diceva Paolo: Lungi da me il gloriarmi se non nella croce di Cristo (cfr. Gal 6, 14).
Fu certo una cosa straordinaria che quel povero cieco nato riacquistasse la vista presso la piscina di Sìloe: ma cos'è questo in paragone dei ciechi di tutto il mondo? Cosa eccezionale e fuori dell'ordine naturale che Lazzaro, morto da ben quattro giorni, ritornasse in vita. Ma questa fortuna toccò a lui e a lui soltanto. Che cosa è mai se pensiamo a tutti quelli che, sparsi nel mondo intero, erano morti per i peccati?
Stupendo fu il prodigio che moltiplicò i cinque pani fornendo il cibo a cinquemila uomini con l'abbondanza di una sorgente. Ma che cosa è questo miracolo quando pensiamo a tutti coloro che sulla faccia della terra erano tormentati dalla fame dell'ignoranza? Così pure fu degno di ammirazione il miracolo che in un attimo liberò dalla sua infermità quella donna che Satana aveva tenuta legata da ben diciotto anni. Ma anche questo che cos'è mai in confronto della liberazione di tutti noi, carichi di tante catene di peccati?
La gloria della croce ha illuminato tutti coloro che erano ciechi per la loro ignoranza, ha sciolto tutti coloro che erano legati sotto la tirannide del peccato e ha redento il mondo intero.
Non dobbiamo vergognarci dunque della croce del Salvatore, anzi gloriàmocene. Perché se è vero che la parola «croce» è scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani, per noi è fonte di salvezza.
Se per quelli che vanno in perdizione è stoltezza, per noi che siamo stati salvati, è fortezza di Dio. Infatti non era un semplice uomo colui che diede la vita per noi, bensì il Figlio di Dio, Dio stesso, fattosi uomo.
Se una volta quell'agnello, immolato secondo la prescrizione di Mosè, teneva lontano l'Angelo sterminatore, non dovrebbe avere maggiore efficacia per liberarci dai peccati l'Agnello che toglie il peccato del mondo? Se il sangue di un animale irragionevole garantiva la salvezza, il sangue dell'Unigenito di Dio non dovrebbe recarci la salvezza nel vero senso della parola?
Egli non morì contro la sua volontà, né fu la violenza a sacrificarlo, ma si offrì di propria volontà. Ascolta quello che dice: Io ho il potere di dare la mia vita e il potere di riprenderla (cfr. Gv 10, 18). Egli dunque andò incontro alla sua passione di propria volontà, lieto di un'opera così sublime, pieno di gioia dentro di sé per il frutto che avrebbe dato cioè la salvezza degli uomini. Non arrossiva della croce, perché procurava la redenzione al mondo. Né era un uomo da nulla colui che soffriva, bensì Dio fatto uomo, e come uomo tutto proteso a conseguire la vittoria nell'obbedienza.
Perciò la croce non sia per te fonte di gaudio soltanto in tempo di tranquillità, ma confida che lo sarà parimenti nel tempo della persecuzione. Non ti avvenga di essere amico di Gesù solo in tempo di pace e poi nemico in tempo di guerra.
Ora ricevi il perdono dei tuoi peccati e i grandi benefici della donazione spirituale del tuo re e così, quando si avvicinerà la guerra, combatterai da prode per il tuo re.
È stato crocifisso per te Gesù, che nulla aveva fatto di male: e tu non ti lasceresti crocifiggere per lui che fu inchiodato sulla croce per te? Non sei tu a fare un dono, ma a riceverlo prima ancora di essere in grado di farlo, e in seguito, quando vieni a ciò abilitato, tu rendi semplicemente il contraccambio della gratitudine, sciogliendo il tuo debito a colui che per tuo amore fu crocifisso sul Golgota.
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