Πέμπτη 4 Φεβρουαρίου 2021

Mercoledì della IV settimana per Annum. S. Biagio vescovo e martire. Buona giornata a tutti nella pace e gioia! Buona festa onomastica!


 La fede è necessaria perché il Signore possa agire liberamente e donare abbondantemente le sue grazie: per la mancanza di fede dei suoi compatrioti, dice san Marco, non potè operare fra loro alcun prodigio. Non riuscivano a credere in lui perché era uno di loro, non aveva niente di straordinario, l'avevano sempre conosciuto... proprio non si capacitavano come potesse essere qualcuno diverso da quello che loro vedevano.

La prima lettura ci ricorda che anche noi, e molto facilmente, possiamo fermarci alle apparenze contrarie e non riconoscere l'intervento di Dio. Questo succede nelle difficoltà, nelle prove. Le prove giungono per tutti, credenti e non credenti, ma noi abbiamo l'impressione che per noi credenti non dovrebbero esserci, o almeno dovrebbero essere solo di un certo tipo... Ci sconcertano e facciamo molta fatica a riconoscervi la mano di Dio.
La Scrittura ci insegna ad andare al di là delle circostanze, che ci sembrano sempre strane, penose, per riconoscere in esse la presenza di Dio che vuoi operare e per questo ha bisogno che noi ci apriamo alla sua azione. "Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio", diceva già il libro dei Proverbi. E l'autore della lettera agli Ebrei lo ricorda ai cristiani per ammonirli: "Tutto ciò che state soffrendo è una correzione; non prendetelo semplicemente come una difficoltà!". Si tratti di malattie, o di difficoltà nei rapporti interpersonali, o di fallimenti in ciò che facciamo per il Signore, prendere le cose semplicemente nel loro aspetto esterno è mancanza di fede. "E per la vostra correzione che voi soffrite Dio vi tratta come figli". C'è una relazione con Dio che dobbiamo riconoscere, una intenzione di Dio alla quale dobbiamo corrispondere nella fede. Allora cambia tutto. La prova è illuminata dall'interno e invece di essere semplicemente un motivo di sofferenza diventa una occasione per sentirci in relazione più diretta con Dio: Dio si interessa di noi. Quando si è provati si ha invece l'impressione contraria: Dio ci abbandona, non pensa più a noi, ci lascia in una situazione che non corrisponde al nostro essere figli suoi... E la verità è proprio il contrario di tutto questo. Invece di lamentarci dovremmo essere contenti, perché Dio si interessa di noi: "Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?".
È difficile, sempre difficile, sempre da ricominciare, il riconoscere in una prova, in una difficoltà l'intervento positivo di Dio verso di noi. È un atto di fede, perché non le apparenze ce lo dicono, ma la parola di Dio, ma lo Spirito Santo in noi, che ci apre gli occhi e ci fa capire che Dio sta intervenendo nella nostra vita, e in modo più attivo, in modo più affettuoso quando ci mette alla prova con delle difficoltà.
L'autore è molto realista e constata: "Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza". E una esperienza che non ha bisogno di essere commentata, dovuta all'amor proprio. Qui non la sofferenza, ma l'umiliazione è messa in rilievo: se qualcuno ci fa notare un nostro difetto, una nostra mancanza, noi ci rattristiamo al punto da pensare soltanto all'osservazione che ci è stata fatta, e non al difetto o alla mancanza! Dovremmo superare la reazione dell'amor proprio e riconoscere che ci è stato dato un aiuto, di cui dovremmo essere contenti. È una constatazione a cui erano già arrivati i filosofi antichi. Socrate diceva che il colmo della felicità è non aver difetti e non fare niente di male, e aggiungeva che subito dopo viene la felicità di essere corretti quando si sbaglia, perché allora ci si può emendare.
La Scrittura va molto più in profondità: dobbiamo essere felici che il Signore ci corregga non soltanto perché è una occasione per progredire, ma perché così la nostra relazione con lui diventa più stretta. È dunque un motivo di fiducia tanto più grande se pensiamo che la nostra sorte è legata a quella di Cristo.
La lettera agli Ebrei già ci ha detto come Gesù, pur essendo il Figlio perfetto, ha voluto per noi imparare l'obbedienza dalle cose che patì, ha voluto conoscere quella educazione dolorosa che a noi è necessaria. Ora, quando noi viviamo a nostra volta questi momenti di dolorosa educazione, siamo uniti a lui in modo speciale e possiamo crescere molto nel suo amore.
La prova motivo di speranza, la prova mezzo per amare: sono le prospettive da tener presenti nelle occasioni grandi e piccole di difficoltà e di disagio, che dovrebbero nutrire il nostro coraggio e la nostra fede. Il Signore non ci fa sapere in che modo intende comunicarci i suoi doni e farci crescere nella fede e nell'amore. Domandiamogli che ci apra gli occhi perché sappiamo vedere in tutto la sua paterna attenzione verso di noi.
“ La straordinaria fusione tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo rende bella la vita e fa rifiorire il deserto in cui spesso ci ritroviamo a vivere”.(Benedetto XVI)
Dalla lettera agli Ebrei 12,4 - 7,11-15
Fratelli, non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato e avete già dimenticato l'esortazione a voi rivolta come a figli:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio».
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore; vigilate perché nessuno si privi della grazia di Dio. Non spunti né cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa, che provochi danni e molti ne siano contagiati.
Dal Vangelo secondo Marco 6,1-6
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
L’odierna pagina evangelica (cfr Mc 6,1-6) presenta Gesù che ritorna a Nazaret e di sabato si mette a insegnare nella sinagoga. Da quando se ne era andato e si era messo a predicare per le borgate e i villaggi vicini, non aveva mai rimesso più piede nella sua patria. È tornato. Pertanto, ci sarà stato tutto il paese ad ascoltare questo figlio del popolo, la cui fama di maestro sapiente e di potente guaritore dilagava ormai per la Galilea e oltre. Ma quello che poteva profilarsi come un successo, si tramutò in un clamoroso rifiuto, al punto che Gesù non poté operare lì nessun prodigio, ma solo poche guarigioni (cfr v. 5). La dinamica di quella giornata è ricostruita nel dettaglio dall’evangelista Marco: la gente di Nazaret dapprima ascolta, e rimane stupita; poi si domanda perplessa: «da dove gli vengono queste cose», questa sapienza?; e alla fine si scandalizza, riconoscendo in Lui il falegname, il figlio di Maria, che loro hanno visto crescere (vv. 2-3). Perciò Gesù conclude con l’espressione divenuta proverbiale: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria» (v. 4).
Ci domandiamo: come mai i compaesani di Gesù passano dalla meraviglia all’incredulità? Essi fanno un confronto tra l’umile origine di Gesù e le sue capacità attuali: è un falegname, non ha fatto studi, eppure predica meglio degli scribi e opera miracoli. E invece di aprirsi alla realtà, si scandalizzano. Secondo gli abitanti di Nazaret, Dio è troppo grande per abbassarsi a parlare attraverso un uomo così semplice! È lo scandalo dell’incarnazione: l’evento sconcertante di un Dio fatto carne, che pensa con mente d’uomo, lavora e agisce con mani d’uomo, ama con cuore d’uomo, un Dio che fatica, mangia e dorme come uno di noi. Il Figlio di Dio capovolge ogni schema umano: non sono i discepoli che hanno lavato i piedi al Signore, ma è il Signore che ha lavato i piedi ai discepoli (cfr Gv 13,1-20). Questo è un motivo di scandalo e di incredulità non solo in quell’epoca, in ogni epoca, anche oggi.
Il capovolgimento operato da Gesù impegna i suoi discepoli di ieri e di oggi a una verifica personale e comunitaria. Anche ai nostri giorni infatti può accadere di nutrire pregiudizi che impediscono di cogliere la realtà. Ma il Signore ci invita ad assumere un atteggiamento di ascolto umile e di attesa docile, perché la grazia di Dio spesso si presenta a noi in modi sorprendenti, che non corrispondono alle nostre aspettative. Pensiamo insieme a Madre Teresa di Calcutta, per esempio. Una suorina piccolina - nessuno dava dieci lire per lei – che andava per le strade per prendere i moribondi affinché avessero una morte degna. Questa piccola suorina con la preghiera e con il suo operato ha fatto delle meraviglie! La piccolezza di una donna ha rivoluzionato l’operato della carità nella Chiesa. È un esempio dei nostri giorni. Dio non si conforma ai pregiudizi. Dobbiamo sforzarci di aprire il cuore e la mente, per accogliere la realtà divina che ci viene incontro. Si tratta di avere fede: la mancanza di fede è un ostacolo alla grazia di Dio. Molti battezzati vivono come se Cristo non esistesse: si ripetono i gesti e i segni della fede, ma ad essi non corrisponde una reale adesione alla persona di Gesù e al suo Vangelo. Ogni cristiano - tutti noi, ognuno di noi - è chiamato ad approfondire questa appartenenza fondamentale, cercando di testimoniarla con una coerente condotta di vita, il cui filo conduttore sempre sarà la carità.
Chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, di sciogliere la durezza dei cuori e la ristrettezza delle menti, perché siamo aperti alla sua grazia, alla sua verità e alla sua missione di bontà e misericordia, che è indirizzata a tutti, senza alcuna esclusione. (Papa Francesco, Angelus 8 luglio 2018)
Dai «Capitoli sulla perfezione spirituale» di Diàdoco di Fotice, vescovo
(Capp. 6. 26. 27. 30; PG 65, 1169. 1175-1176)
La scienza della discrezione degli spiriti si acquista con la sapienza
È lume della vera saggezza discernere il bene dal male senza sbagliare. Quando ciò avviene, allora la via della giustizia conduce la mente a Dio, sole di giustizia, e introduce nello sfolgorio infinito della scienza la mente stessa che cerca ormai con grande fiducia l'amore. È necessario che coloro che combattono cerchino di conservare l'animo libero da interno turbamento, perché la mente, discernendo i pensieri che le si affacciano, possa conservare nel santuario della memoria quelli che sono buoni e mandati da Dio, e scacciare invece quelli che sono cattivi e suggeriti dal demonio. Anche il mare quando è perfettamente calmo permette ai pescatori una visibilità che arriva fino al fondo, di modo che i pesci non sfuggono al loro sguardo. Ma quando è sconvolto dai venti, nasconde con le onde torbide ciò che nella calma mostra chiaramente; e così rimangono infruttuosi tutti gli accorgimenti che usano i pescatori per catturare i pesci.
Ora è soltanto allo Spirito Santo che appartiene il compito di purificare le menti: infatti se non entra quel forte per sopraffare il ladro, la preda non gli potrà essere tolta. È necessario quindi che noi con la pace dell'anima alimentiamo l'azione dello Spirito Santo, ossia che teniamo in noi stessi sempre accesa la lucerna della chiaroveggenza, poiché mentre essa risplende nel segreto della mente, non soltanto quegli attacchi insidiosi e tenebrosi dei demoni vengono scoperti, ma vengono altresì sgominati perché colpiti da quella luce santa e gloriosa.
Per questo l'Apostolo raccomanda: «Non spegnete lo Spirito» (1 Ts 5, 19), cioè non rattristate lo Spirito Santo a causa della vostra malizia o dei cattivi pensieri, perché egli non desista dal proteggervi con quel suo divino splendore. In realtà non è possibile spegnere quel lume eterno e vivificante che è lo Spirito Santo, ma è possibile che la sua tristezza, ossia la nausea per noi lo costringa a lasciare priva della luce della conoscenza e tutta avvolta nella oscurità la nostra anima. Il discernimento della mente è la perfetta sapienza con la quale le cose vengono giudicate. Quando l'organismo è sano, con il senso del gusto noi sappiamo distinguere ciò che fa bene da quanto ci fa male e cerchiamo quanto ci piace.
Così è della nostra mente, quando è in perfetto equilibrio. Pur in mezzo a mille preoccupazioni, è in grado di godere pienamente della consolazione divina. Anzi può conservare a lungo il ricordo della sua dolcezza mediante l'esercizio della carità. Questa poi tende a conseguire beni sempre più alti, come dice l'Apostolo: E di questo vi prego: che la vostra carità cresca sempre più in ogni scienza ed in ogni senso, perché tendiate a beni più grandi (cfr. Fil 1, 9-10).

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